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Giove e Callisto

Giacinto Gemignani, XVII Secolo

Scena tratta da Le Metamorfosi di Ovidio. Callisto era una delle ninfe del seguito di Diana. Vedendola riposare in un bosco, Giove se ne invaghì; decise quindi di sedurla assumendo le sembianze della dèa Diana (la giovane, infatti, rifuggiva gli uomini). Dopo qualche mese Diana, stanca per la caccia, decise di fermarsi con le sue compagne per farsi il bagno presso una fonte. Callisto, che fino a quel momento era riuscita a nascondere l’accaduto, esitava a spogliarsi: le compagne allora le sfilarono la veste scoprendo così la verità; adirata Diana la cacciò. Una volta nato il bambino, Arcade, anche Giunone decise di vendicarsi trasformandola in un orsa.

Giove assiso sulle nuvole sta ammirando callisto. Dall'alto un amorino sta scoccando una freccia. Sullo sfondo altri putti alati e un paesaggio ; in primo piano dell'acqua trasparente. Giove indossa un mantello azzurro scuro, Callisto tunica rosa oro e mantello giallo oro, la sua faretra ha disegni dorati e l'arco è dorato.

Approfondimenti

Larghezza: cm 141
Altezza: cm 116

Dipinto ad olio su tela

E' databile attorno al 1640-1650. Mostra chiare influenze da Poussin, da Giovanni Francesco Romanelli (si confronti "La raccolta della manna" del Louvre), e dello stesso Gemignani gli affreschi più tardi (1664) in san Lorenzo in Lucina raffiguranti "Eliseo e le esequie di Gerico".

Ovidio, Le Metamorfosi, libro II:

Alto era il sole, ormai giunto oltre la metà del suo cammino,
quando lei entrò in un bosco inviolato dal tempo dei tempi:
qui dalla sua spalla depone la faretra, allenta la tensione
dell'arco, e si sdraia sul tappeto erboso del suolo,
appoggiando il capo reclinato sulla sua faretra dipinta.
Come Giove la vide così stanca e indifesa, si disse:
"Di questa tresca certo mia moglie non saprà nulla,
e anche se venisse a saperla, vale, vale bene una diatriba!".
Subito assume l'aspetto e il portamento di Diana,
dicendo: "O vergine, che compagna mi sei fra le compagne,
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su quali monti hai cacciato?". Dal prato balza la fanciulla
e: "Benvenuta, dea," risponde, "che, se anche mi sente,
per me sei più grande di Giove!". Sorride lui, divertito
nel sentirsi preferito a sé stesso, e la bacia con impeto
sulla bocca, con troppo impeto, come non s'addice a una vergine.
E mentre lei si accinge a raccontare in quale bosco
ha cacciato, la cinge in un amplesso e nel violarla si rivela.
Lei si ribella, sì, per quanto almeno può fare una donna
(o se tu l'avessi vista, Saturnia, saresti più comprensiva!);
si ribella, sì, ma quale fanciulla o chi altro mai
potrebbe vincere il sommo Giove? In cielo ritorna vincitore
Giove, mentre lei ora odia quei boschi e quegli alberi che sanno;
e fuggendo di lì quasi si scorda di raccogliere
la faretra con le sue frecce e l'arco appeso a un ramo.
Ed ecco che mentre, fiera della selvaggina uccisa, s'inoltra
col suo séguito fra i gioghi del Mènalo, la dea di Ditte
la scorge e, riconoscendola, la chiama. Quella al suo nome fugge,
temendo sul momento che in lei si nasconda Giove;
ma poi, quando vede che al suo fianco compaiono le ninfe,
si rende conto che non c'è inganno e si unisce a loro.
Ahimè, com'è difficile non tradire la colpa con lo sguardo!
Leva appena gli occhi da terra; non si pone come un tempo
al fianco della dea; non è più la prima davanti a tutte;
ma tace e arrossendo rivela l'infamia subita.
Se non fosse stata vergine, da mille segni avrebbe potuto
intuirne Diana la colpa; l'intuirono le ninfe, pare.
Per il nono mese rinasceva in cielo la falce della luna,
quando a caccia la dea, spossata dalla vampa del fratello,
trovò un bosco freschissimo, dal quale mormorando,
fra granelli di sabbia impazziti, zampillava a valle un ruscello.
Il posto le piacque, e con la punta del piede saggiò l'acqua;
anche questa le piacque e allora disse: "Qui non ci vede nessuno:
immergiamoci nude in queste limpidi correnti".
La fanciulla di Parrasia arrossì. Tutte si tolgono le vesti:
lei sola prende tempo, ma mentre indugia viene spogliata
e, quando è nuda, il suo corpo mette in luce la colpa.
Smarrita lei si affanna a nascondere il ventre con le mani:
"Via di qui!" le grida Cinzia; "non profanare
questa fonte sacra!" e le impone di abbandonare il suo séguito.
Da tempo la moglie del gran Tonante era al corrente della cosa,
ma aveva rimandato di trarne vendetta alla giusta occasione.
Ormai non c'era più motivo d'attendere: alla rivale
(altro colpo inferto a Giunone) è già nato un bambino: Arcade.
Appena a ciò volse, puntando gli occhi, il cuore esasperato:
"Mancava solo questo, svergognata," si sfogò,
"che tu restassi incinta, che partorendo rendessi nota a tutti
l'offesa e testimoniassi l'indegna azione del mio Giove!
Non potrai sfuggirmi: ti toglierò questa figura
di cui ti compiaci, sfacciata, e per la quale piaci a mio marito!".
Disse e, affrontandola, l'afferrò davanti per i capelli
e la gettò bocconi a terra. Lei tendeva le braccia implorando:
ma ecco che pian piano le braccia si coprono di peli neri;
le mani si curvano e, crescendo in artigli adunchi,
fungono da piedi; il viso, che aveva un tempo
incantato Giove, si deforma in fauci mostruose.
E perché non piegasse nessuno con suppliche e preghiere,
le è tolto l'uso della parola: dalla sua gola rauca
esce solo un ringhio di rabbia minacciosa, che incute paura.
Anche se mutata in orso, conserva l'anima di un tempo.


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