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022 Tancredi and Clorinda dying

022

Tancredi and Clorinda dying
Jacopo Vignali, 17th Century

Scene from the poem La Gerusalemme liberata by Torquato Tasso. Clorinda and Argante have successfully attempted a nocturnal sortie in which they set fire to and destroy the mighty siege tower of the crusaders, using flammable ointments prepared by the wizard Ismeno: they are preparing to return to Jerusalem from one of the doors, pursued by enemy soldiers, when Clorinda lingers to clash with a Christian who hit her and remains locked out. While the warrior is about to reach another door taking advantage of the darkness, she is joined by Tancredi who does not recognize her (the woman wears a black armor, different from the usual one) and begins a furious duel with her, without knowing that she is fighting against the woman he loves. The duel will be no holds barred and Clorinda will have the worst of it, even if at the point of death the warrior will ask to be baptized by her killer and her soul will be saved.

In Vignali's painting, the virtue of faith is represented alongside Clorinda, in the likeness of a woman holding a chalice and surrounded by angels.

Approfondimenti

Width: cm 141
Hight: cm 116

Oil painting on canvas by Jacopo Vignali (Pratovecchio, 5 September 1592 - Florence, 3 August 1664). He was one of the greatest exponents of the seventeenth century in Florence. Very versatile artist, he was born in the Casentino where he learned the first rudiments, but at the age of thirteen he moved to Florence where he entered Matteo Rosselli's workshop: he began his career with works with a classical tone, very calm and easy to read, in according to the master's style. Over the years, however, the various suggestions, coming now from Cigoli, now from the Caravaggesque painters, now from Salvator Rosa, determined the evolution of his style, which however retained its main characteristic: the great and refined elegance that we find especially in the clothing .

The attribution of the subject and the author of the painting is found in the book by Sebastiano Benedetto Bartolozzi of 1752 where "two little stories for the very noble Basi Rospigliosi compartment are indicated". Edward Gerhard in Antichità viva (1964) reports the photograph of the paintings of Piramo and Tisbe and that of Tancredi and Clorinda still preserved "in the gallery of Prince Rospigliosi of Pistoia.


Gerusalemme Liberata, XII, 48-70:

48
Aperta è l’Aurea porta, e quivi tratto
è il re, ch’armato il popol suo circonda,
per raccòrre i guerrier da sí gran fatto,
quando al tornar fortuna abbian seconda.
Saltano i due su ‘l limitare, e ratto
diretro ad essi il franco stuol v’inonda,
ma l’urta e scaccia Solimano; e chiusa
è poi la porta, e sol Clorinda esclusa.

49
Sola esclusa ne fu perché in quell’ora
ch’altri serrò le porte ella si mosse,
e corse ardente e incrudelita fora
a punir Arimon che la percosse.
Punillo; e ‘l fero Argante avisto ancora
non s’era ch’ella sí trascorsa fosse,
ché la pugna e la calca e l’aer denso
a i cor togliea la cura, a gli occhi il senso.

50
Ma poi che intepidí la mente irata
nel sangue del nemico e in sé rivenne,
vide chiuse le porte e intorniata
sé da’ nemici, e morta allor si tenne.
Pur veggendo ch’alcuno in lei non guata,
nov’arte di salvarsi le sovenne.
Di lor gente s’infinge, e fra gli ignoti
cheta s’avolge; e non è chi la noti.

51
Poi, come lupo tacito s’imbosca
dopo occulto misfatto, e si desvia,
da la confusion, da l’aura fosca
favorita e nascosa, ella se ‘n gía.
Solo Tancredi avien che lei conosca;
egli quivi è sorgiunto alquanto pria;
vi giunse allor ch’essa Arimon uccise:
vide e segnolla, e dietro a lei si mise.

52
Vuol ne l’armi provarla: un uom la stima
degno a cui sua virtú si paragone.
Va girando colei l’alpestre cima
verso altra porta, ove d’entrar dispone.
Segue egli impetuoso, onde assai prima
che giunga, in guisa avien che d’armi suone,
ch’ella si volge e grida: «O tu, che porte,
che corri sí?» Risponde: «E guerra e morte.»

53
«Guerra e morte avrai;» disse «io non rifiuto
darlati, se la cerchi», e ferma attende.
Non vuol Tancredi, che pedon veduto
ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l’uno e l’altro il ferro acuto,
ed aguzza l’orgoglio e l’ire accende;
e vansi a ritrovar non altrimenti
che duo tori gelosi e d’ira ardenti.

54
Degne d’un chiaro sol, degne d’un pieno
teatro, opre sarian sí memorande.
Notte, che nel profondo oscuro seno
chiudesti e ne l’oblio fatto sí grande,
piacciati ch’io ne ‘l tragga e ‘n bel sereno
a le future età lo spieghi e mande.
Viva la fama loro; e tra lor gloria
splenda del fosco tuo l’alta memoria.

55
Non schivar, non parar, non ritirarsi
voglion costor, né qui destrezza ha parte.
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
toglie l’ombra e ‘l furor l’uso de l’arte.
Odi le spade orribilmente urtarsi
a mezzo il ferro, il piè d’orma non parte;
sempre è il piè fermo e la man sempre ‘n moto,
né scende taglio in van, né punta a vòto.

56
L’onta irrita lo sdegno a la vendetta,
e la vendetta poi l’onta rinova;
onde sempre al ferir, sempre a la fretta
stimol novo s’aggiunge e cagion nova.
D’or in or piú si mesce e piú ristretta
si fa la pugna, e spada oprar non giova:
dansi co’ pomi, e infelloniti e crudi
cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.

57
Tre volte il cavalier la donna stringe
con le robuste braccia, ed altrettante
da que’ nodi tenaci ella si scinge,
nodi di fer nemico e non d’amante.
Tornano al ferro, e l’uno e l’altro il tinge
con molte piaghe; e stanco ed anelante
e questi e quegli al fin pur si ritira,
e dopo lungo faticar respira.

58
L’un l’altro guarda, e del suo corpo essangue
su ‘l pomo de la spada appoggia il peso.
Già de l’ultima stella il raggio langue
al primo albor ch’è in oriente acceso.
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
del suo nemico, e sé non tanto offeso.
Ne gode e superbisce. Oh nostra folle
mente ch’ogn’aura di fortuna estolle!

59
Misero, di che godi? oh quanto mesti
fiano i trionfi ed infelice il vanto!
Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
Cosí tacendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
perché il suo nome a lui l’altro scoprisse:

60
«Nostra sventura è ben che qui s’impieghi
tanto valor, dove silenzio il copra.
Ma poi che sorte rea vien che ci neghi
e lode e testimon degno de l’opra,
pregoti (se fra l’arme han loco i preghi)
che ‘l tuo nome e ‘l tuo stato a me tu scopra,
acciò ch’io sappia, o vinto o vincitore,
chi la mia morte o la vittoria onore.»

61
Risponde la feroce: «Indarno chiedi
quel c’ho per uso di non far palese.
Ma chiunque io mi sia, tu inanzi vedi
un di quei due che la gran torre accese.»
Arse di sdegno a quel parlar Tancredi,
e: «In mal punto il dicesti»; indi riprese
«il tuo dir e ‘l tacer di par m’alletta,
barbaro discortese, a la vendetta.»

62
Torna l’ira ne’ cori, e li trasporta,
benché debili in guerra. Oh fera pugna,
u’ l’arte in bando, u’ già la forza è morta,
ove, in vece, d’entrambi il furor pugna!
Oh che sanguigna e spaziosa porta
fa l’una e l’altra spada, ovunque giugna,
ne l’arme e ne le carni! e se la vita
non esce, sdegno tienla al petto unita.

63
Qual l’alto Egeo, perché Aquilone o Noto
cessi, che tutto prima il volse e scosse,
non s’accheta ei però, ma ‘l suono e ‘l moto
ritien de l’onde anco agitate e grosse,
tal, se ben manca in lor co ‘l sangue vòto
quel vigor che le braccia a i colpi mosse,
serbano ancor l’impeto primo, e vanno
da quel sospinti a giunger danno a danno.

64
Ma ecco omai l’ora fatale è giunta
che ‘l viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
che vi s’immerge e ‘l sangue avido beve;
e la veste, che d’or vago trapunta
le mammelle stringea tenera e leve,
l’empie d’un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e ‘l piè le manca egro e languente.

65
Segue egli la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme;
parole ch’a lei novo un spirto ditta,
spirto di fé, di carità, di speme:
virtú ch’or Dio le infonde, e se rubella
in vita fu, la vuole in morte ancella.

66
«Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
a l’alma sí; deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch’ogni mia colpa lave.»
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch’al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.

67
Poco quindi lontan nel sen del monte
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v’accorse e l’elmo empié nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentí la man, mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide, la conobbe, e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!

68
Non morí già, ché sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
e premendo il suo affanno a dar si volse
vita con l’acqua a chi co ‘l ferro uccise.
Mentre egli il suon de’ sacri detti sciolse,
colei di gioia trasmutossi, e rise;
e in atto di morir lieto e vivace,
dir parea: «S’apre il cielo; io vado in pace.»

69
D’un bel pallore ha il bianco volto asperso,
come a’ gigli sarian miste viole,
e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
sembra per la pietate il cielo e ‘l sole;
e la man nuda e fredda alzando verso
il cavaliero in vece di parole
gli dà pegno di pace. In questa forma
passa la bella donna, e par che dorma.

70
Come l’alma gentile uscita ei vede,
rallenta quel vigor ch’avea raccolto;
e l’imperio di sé libero cede
al duol già fatto impetuoso e stolto,
ch’al cor si stringe e, chiusa in breve sede
la vita, empie di morte i sensi e ‘l volto.
Già simile a l’estinto il vivo langue
al colore, al silenzio, a gli atti, al sangue.


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